L’antenato del Pensionato Torinese

Signor Conte,
nell’istessa maniera che Lei mi scrive con franchezza, con franchezza le risponderò. Sappia che [la] sua lettera mi dispiacque. Sappia che è ridicolo fare progetti e teorie da Torino, mentre che noi che siamo sul posto ci caviamo la pelle per fare il nostro dovere. Alla guerra non vi è niente mai di certo sopra i progetti che si fa, talvolta si cambia a mezzogiorno quello che si combina a mattina, secondo le mosse del nemico, talvolta quel che pare il più certo è quello che lo è meno.
I miei progetti sono sempre sottoposti a quelle teorie e sempre furono e sono d’accordo con le idee del Maresciallo Canrobert e generale Niel. Anche la mossa sopra Novi che Lei, con parole che Ella avrebbe potuto sparmiare, critica tanto, fu combinata col generale Canrobert, che venne sul posto. Ed essa sarebbe riuscita utilissima se si fosse realizzato ciò che si credeva imminente, e che se non accadde fu per pura bestialità dei Tedeschi.
Riguardo poi alle osservazioni che Lei mi fa sopra il nuovo movimento, capisce bene che non posso scriverle un libro tutte le volte che Le scrivo, avevo già fatte tutte le ipotesi e giusto per ciò che l’idea principale del gran salvamento di Torino spaventato, era sua più che mia; avevo già dato l’ordine alle mie divisioni di soffermarsi sulla posizione di Ponte Stura da dove le avrei fatte muovere secondo la necessità temendo io stesso che il nemico si sarebbe ritirato al loro primo comparire.
Dunque vede che non siamo tanto bestia. […] Dal sunto poi di quel che mi dice che devo essere circondato da tanti geni che mi impediscano di fare delle bestialità, pare che Lei mi considera come un grande asino nel mio mestiere. Se Lei mi parla ancora una volta così vedrà cosa farò, manderò via tutti d’intorno a me quelli che vi sono e mi circonderò di meno capaci ancora, e farò vedere se io non so fare il mio mestiere senza tanti consiglieri. Se ho preso quelli che ho preso, so il perchè e non ho bisogno d’altri […].
Poi io non voglio fare di queste polemiche, farò il mio dovere il meglio che potrò, se va bene voglio che il merito sia mio, se va male lo stesso. Così, caro Conte, Lei avrà le nuove, ma non scriverò più.

Il suo affezionatissimo
Vittorio Emanuele

(lettera di V.E. II a Camillo Benso di Cavour dal quartier generale di San Salvatore di Monferrato, 10 maggio 1859, e tratta dal libro Cronache dell’Unità d’Italia, a cura di Andrea Aveto, Mondadori, 2011)

vittorioemanuele

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