Parlando di noi.

Inizio seriamente a pensare che sarebbe l’ora di chiarire l’equivoco di fondo: l’europeismo è una bella cosa, ma noi non siamo gli Stati Uniti d’America.
Ammetto per un po’ di essermi sentito a disagio, quasi preso dai sensi di colpa per un sentimento identitario europeo che no, non sentivo proprio. Messo all’angolo da quel che definirei, con un accento acidognolo, “presobenismo da Erasmus”, che certamente dà ai nostri giovani possibilità impensabili fino a qualche anno fa, ma che non può da solo costituire l’idea che oramai si sia una sola grande Patria.
Anche perchè, e qui sta l’equivoco di fondo, l’Unione Europea nasce come una comunità economica e così cresce. Dico di più: così s’impone, in un Mondo in cui le grandi nazioni demografiche stanno diventando grandi potenze economiche e la compatezza dello scenario europeo inizia a diventare strategico per contare a livello economico e militare – e quindi politico. Ma non si può pensare, in nome di questi obiettivi, di circuire con buoni sentimenti di coesione gli strati ampi della popolazione abituata a difendere oltre il ragionevole i propri piccoli campanilismi, figuriamoci a distinguere le differenze tra nazioni vicine e distanti. Non si può pensare di confondere l’Euro – e la sua gestione – con l’unico governo europeo, in questa epoca postdemocratica poi, che vede sempre di più il cittadino rifiutare meccanismi politici nazionali che già avverte come lontani.
L’immenso risultato storico di aver unito in un’unica istituzione Paesi che fino a sessant’anni fa si facevano la guerra – alcuni pure meno – è innegabile, ma non può bastare. Manca il principale responsabile dell’identità, la cultura, e manca il suo principale veicolo, la lingua comune.
Il punto però non è se mai potremo diventare una vera unica comunità, ma sono i tempi ed è il metodo. Lo scetticismo diffuso ci dice chiaramente che stiamo imponendo tempi sbagliati. Lo scontro tra i Governi sui debiti pubblici ci dice che stiamo perpetrando metodi sbagliati. Tempi e metodi. Passi troppo lunghi e troppo distesi che rischiano solo di frantumare un cammino che se deve farsi, va fatto con pazienza e rigore: affrontare una maratona partendo con lo sprint d’un centometrista non è una buona scelta.
Il rischio – parlo per estremi, ma tant’è – è quello di una balcanizzazione dell’Unione Europea, cioè quello di scambiare la coabitazione – più o meno forzata – con l’integrazione, il collante necessario di ogni comunità possibile, attuale o futuribile.

 

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