Archivi categoria: Opinioni

Il silenzio di Silvio

Fino ad un mesetto fa, Silvio Berlusconi manteneva la scena della politica e dei notiziari con la conta dei grandi elettori per l’elezione del Quirinale. Fosse diventato Presidente, ci sarebbe l’ironia della sorte a vederlo cimentarsi nella direzione di un consiglio di guerra contro il sodale storico Vladimir Putin.
Ora, invece, il suo silenzio sulla questione sta assumendo una forma che sarebbe imbarazzante, se non ci fossero cose più importanti cui badare. Non sono pochi, però, gli osservatori, gli opinionisti e gli avversari politici che non perdono l’occasione per imputargli il lungo e giocoso passato di amicizia con lo Zar del Cremlino, spesso con il corredo di fotografie tra colbacchi, sorrisi a cinquanta denti, piante esotiche di Villa Certosa e scodinzolate di Dudù.
Certamente uno smacco per chi, come Berlusconi, da venti anni andava ripetendo di aver messo la parola fine sulla Guerra Fredda con gli incontri Usa – Russia di Pratica di Mare. La sua – non del tutto autoriferita – capacità diplomatica ribaltata in pochi giorni dall’aggressività concludente dell’amico Vladimir. Ma il gioco a ridicolizzarlo lascio lo spazio ad una ennesima geometria variabile, un paradosso da manuale della politica demagogica e distratta dei nostri giorni: a perseguire il dialogo ostinatamente si rischia di essere considerati una colomba della pace quando le cose vanno bene da sole, e l’utile idiota a servizio del tiranno quando le cose si complicano.

Vaccini pro e contro: facciamo pulizia

Non staremo in questo post a esprimere la nostra posizione sulle vaccinazioni: sarebbero bestemmioni. Ma proprio partendo da una certa insofferenza alla discussione abbiamo capito che il principale problema sia un’incompatibilità generale nelle argomentazioni, che esaspera le discussioni.
Dunque riteniamo si debba fare un po’ di chiarezza iniziale per fare in modo che chi si confronta lo faccia su un terreno comune, libero da corti circuiti mentali che incancreniscono le posizioni.
Di seguito suggeriamo tre regole che suggeriamo andrebbero tenute a mente.

1. NON FACCIAMONE UNA QUESTIONE DI SOLDI.
Purtroppo spesso i confronti sul tema finiscono a correlare posizioni scientifiche con interessi economici. Nessuno mette in dubbio ci siano e che sia indole dell’essere umano ricercare il proprio tornaconto, ma spostano il fulcro della discussione e si finisce in una conversazione tra sordi. Sostenere che le multinazionali nascondano la cura al cancro per speculare sui malati mentre Vannoni fosse un filantropo privo di interessi non aiuta nessuno.

2. DECIDIAMO SE LA STATISTICA ABBIA UN RUOLO OPPURE NO.
Nella discussione si contrappongono due posizioni inavvicinabili che sono tipiche di qualsiasi discussione. Da una parte chi sostiene che l’eccezione confermi la regola, e che si debba continuare a procedere nel solco delle scienze applicate per le quali esiste una percentuale fisiologica di errore. Dall’altra chi ritiene che questa percentuale di errori rimetta in discussione tutto, e per cui l’eccezione invalidi la regola. Tranquilli, succede anche in una qualsiasi discussione tra marito e moglie sulle faccende domestiche, ma è fondamentale per non capirsi.

3. STABILIAMO SE LA MAGGIORANZA ABBIA UN VALORE OPPURE NO.
E’ vero, Winston Churcill nel 1938 era praticamente l’unico in Europa a osteggiare gli accordi di Monaco, ma aveva ragione lui. Alle volte succede. La democrazia mal si applica alle idee e alle decisioni di principio, ma affidarsi alla fiducia nella ragionevolezza delle maggioranze è un modo per arrivare ad una sintesi e ad una decisione: decidiamo chiaramente se sia opportuna o meno, ed eventualmente come sostituirla. Ma questa geometria variabile che santifica la democrazia quando si è maggioranza e rivendica la libertà di coscienza e di dubbio quando si è minoranza produce solamente una empasse perenne.

Rimborsopoli M5S, la vera evidenza.

L’attuale tempesta giornalistica che si è abbattuta sul M5S dopo il servizio delle Iene mette in evidenza uno dei più importanti limiti all’impianto ideologico alla base stesso dell’impegno politico di Grillo e del suo movimento. Giornali, militanti più o meno interni, simpatizzanti e avversari politici puntano l’attenzione, come era prevedibile, sullo scostamento che questo piccolo caso sembra creare con i principi di onestà e lealtà di cui si è fatto voce il Movimento. Se è vero che su questo argomento i vertici da sempre hanno posto un’attenzione quanto meno ingenua, che facilmente prestava il fianco a biasimi alla prima occasione, è pur vero che la stragrande maggioranza di chi ha assunto un’impegno nelle file dei M5S lo abbia onorato. Basta un piccolo residuo per far dire a Renzi che i grillini non possono accaparrarsi la patente dell’onestà più di altri. Ma questo, sosteniamo, sia un errore di valutazione più ingenuo che significativo.
Emerge invece nella dinamica di queste ore un’altra evidenza, che la scoperta di candidati appartenenti alle logge massoniche fa ulteriormente risaltare: la difficoltà nella creazione di una classe politica che rispecchi le ambizioni del Movimento, e la lampante insufficienza del metodo di selezione delle candidature. Un problema concreto che nasconde un vizio ideologico iniziale: al contrario di quanto abbiano sempre sostenuto i 5 Stelle, le masse non sono interessate alla politica attiva, dunque la democrazia diretta non può funzionare. Questo non certo perchè i 5 Stelle non abbiano dato una reale possibilità di partecipazione: basta iscriversi al sito e dopo un certo periodo di tempo si arriva a poter votare su alcune questioni. Piuttosto perchè queste possibilità di partecipazione non sono state colte, e le masse alla piattaforma Rousseau non si sono iscritte. I numeri sono a controprova: il tasso di conversione tra elettori alle urne e votanti sul sito è chiarissimo, e a distanza di 5 anni dagli 8 milioni e mezzo di voti del 2013 (alla Camera) i votanti sulla piattaforma per le parlamentarie 2018 risultano essere 40 mila. Un risultato tutt’altro che diverso da quelli di qualsiasi partito convenzionale dotato di milioni di elettori e sparuto radicamento sul territorio (il PD nel 2017 è sceso sotto 90 mila iscritti).
Il successo di un’offerta politica di rottura non rispecchia la disponibilità dell’elettorato a sobbarcarsi i pesi dell’azione politica, perchè l’acquisto risponde all’offerta, non ad un bisogno insopprimibile: lo voglio perché esiste, ma non esistesse non lo vorrei.

La Soluzione

Pare evidente che oramai il resto dei paesi europei, con Francia e Germania in testa, assomiglino sempre più a quei ragazzini che negherebbero l’evidenza quando, in gruppo, gli si chiede loro di fare qualcosa che vada contro il proprio mero tornaconto, quelli, per capirci, che a un certo punto si portano via il pallone e vanno a casa.
Si sperava che l’avvento di Macron riequilibrasse una situazione che con l’elezione della Le Pen sarebbe di certo esplosa, ma ancora una volta ci troviamo a constatare quanto la linea in politica estera di queste potenze sembri essere indipendente dai manovratori di turno, o almeno da quanto facciano intuire in campagna elettorale.
Insomma, nonostante gli accordi, i trattati, i principi, questi poveri disgraziati sembriamo doverceli sobbarcare soltanto noi. Addirittura, lo avrete letto, gira l’ipotesi di un tentativo di ridisegno dei trattati di Shengen che sia più congeniale al duo franco-tedesco. E allora che fare?
Di certo non possiamo mantenerli tutti, continuiamo a ripetercelo.
A meno che.
La soluzione si chiama dumping. Negli anni 60 e 70 pare che il Giappone invadesse i mercati occidentali dei propri prodotti elettronici ricorrendo alla vendita sotto costo, funzionale a spazzare via la concorrenza e conquistare così posizioni semi monopolistiche nei mercati esteri.
Utilizzare dunque la forza lavoro dei migranti costretti (o rispediti) sul nostro territorio per abbassare i costi di produzioni in determinati settori-chiave, e sfruttare i trattati europei per invadere i mercati esteri con prodotti a concorrenza spietata. Da una parte, avremmo qualcosa da far fare a questi poveri cristi cui fatichiamo a garantire accoglienza e assistenza per il peso che hanno sulle casse dello Stato, già disastrate; dall’altra parte, avremmo dei rientri di denaro che contribuirebbero a coprirne i costi.
Su tutto, poi, faremmo notare l’altro lato della medaglia a chi crede che l’Unione Europea debba essere uno strumento utile soltanto ai propri tornaconti nazionali, invece di una comunione di obiettivi, intendi e politiche. E nell’Europa della libera circolazioni di merci, capitali e persone solo quando fa comodo a qualcuno, li chiameremmo finalmente a svelare definitivamente il gioco cui stanno giocando, per una resa decisiva dei conti.

Essere lavoratori

Da provincialissimo quale sono, non ero mai stato in un supermercato di notte, ed ho potuto rimediare questa sera nel bailamme della movida cuneese buttandomi nel Carrefour H24.
Orbene, potrà apparirvi artificioso, ma insieme alle orde di ragazzini c’erano alcune famiglie con prole, giovani coppie, una cassiera gentile, un energumeno della sicurezza e nessun ubriaco, nè all’interno nè bighellonante sul marciapiede antistante.
“Questa è la vera libertà” ho pensato tra me e me, piacevolmente. Poter fare la spesa quando si ha tempo, persino se avere tempo significhi rinunciare alla mondanità di un sabato sera per fare provviste per la settimana a venire.
Eppure il dibattito nazionale ancora si chiede se sia giusto che i centri commerciali tengano aperto nei festivi (vedi il caso di Serravalle), tra gli scioperi sdegnati dei commessi e la manforte del segretario Fiom Landini, il quale sostiene senza mezzi termini che le aperture nei giorni festivi siano speculazione sulla pelle dei poveri lavoratori vessati e allontanati dalle proprie famiglie.
Che pensare?
Landini non sarà mai andato in un ristorante alla domenica dopo il battesimo di un nipote, o in uno stabilimento balneare a ferragosto, o in un cinema il sabato sera; altrimenti si sarebbe accorto che esiste un mondo che si muove – volente o nolente, secondo le regole della domanda e dell’offerta – anche al di fuori degli orari di uno sportello di banca.
Ma se ci andasse, e li guardasse con attenzione, si accorgerebbe persino che esiste un mondo non soltanto fatto di padroni e di schiavi in perenne lotta di classe tra loro, ma di titolari e dipendenti uniti in un unico obiettivo comune: essere (anche loro) lavoratori.

E’ arrivato Attila.

Saremmo capaci anche noi di spiegarvi ora le ragioni dell’insuccesso di Hillary Clinton che hanno spianato la strada della Casa Bianca a Donald Trump. Ora ne siamo capaci tutti. Ma come diceva il saggio, “se io lo so, tu lo sai, che ce lo diciamo a fare?”.
Piuttosto proviamo ad azzardare una visione sul cosa sarà. Un bel niente, un buco nell’acqua, nada de nada, nisba, keine, rien, kaputt. Donald Trump non sarà la bestia che tutti temiamo.
Non lo sarà perchè c’è sempre una differenza tra il dire e il fare, tra la lotta e il governo.
Non lo sarà perchè non descrivevamo Bush in un modo poi così migliore, ma siamo ancora qui. Certo, non sarà stato il miglior Presidente degli Stati Uniti, ma nemmeno il peggiore. Il Peggiore per la storia fu Nixon, un fascistoide arrogante deposto putacaso con l’unico impeachment della storia del paese.
Non lo sarà perchè persino nel partito repubblicano, che ha la maggioranza al Congresso, pochi lo digeriscono e lo asseconderanno.
Non lo sarà soprattutto perchè gli Stati Uniti sono una democrazia vera, che ha in sé quegli anticorpi capaci di neutralizzare gli istinti libertici di certi voti di pancia: gli Usa non sono nè l’Egitto nè la Turchia, e il potere assolutistico di cui crediamo investito il Presidente è molto diverso dal fare quel cacchio che gli pare come crediamo quando rabbrividiamo pensando alla valigetta con i bottoni delle testate nucleari. Se avete paura di cose del genere, c’è molto più da preoccuparsi a ovest di Los Angeles, credeteci.
E non lo sarà perchè Barack Obama non è stato la salvezza del Mondo, Donald Trump non ne sarà il distruttore.

La democrazia è quello che ci meritiamo

Circolano in questo ore successive alla vittoria del #leave al referendum sulla #brexit articoli, infografiche e commenti sdegnati su un fatto evidente, ovvero lo sbilanciamento del voto per fascia di età, con gli over 65 a votare in massa per l’uscita che di fatto peserà molto più sulle vite dei loro giovani concittadini che sulle proprie.
L’idea della ponderazione dei voti in democrazia non è nuova, e risponde sicuramente ad un problema oggettivo, ovvero che la democrazia mandi a ramengo le spinte innovatrici e/o la consapevolezza del voto mischiando in un unico calderone scelte ignoranti fatte di pancia con quelle illuminate fatte di informazione, obiettività e lucidità.
Il problema di questa soluzione è però quella di partire da un assunto iniziale, ovvero da un luogo di approdo – una decisione considerata giusta – che la democrazia dovrebbe produrre. Occorre arrivare ad una decisione precisa, ecco allora che la ponderazione è lo strumento. Ma chi decide quale sia la decisione giusta? Ai referendum orde di capre annullano il voto dei pochi che con coscienza si sono informati e sono in grado di prendere una decisione equilibrata? Ponderiamo il loro voto. Ma chi decide come?
La democrazia che conosciamo noi viaggia invece su un principio di semplificazione disarmante: è l’uguaglianza, baby; ed è grazie a questa semplificazione che le decisioni prodotte dalla democrazia, per quanto incondivisibili, criticabili, financo aberranti, fotografano esattamente il livello aggregato di informazione, coscienza, conoscenza e lungimiranza di un’intera popolazione, in cui persino il grado di menefreghismo – l’astensione al voto – viene rappresentato e produce i suoi effetti.
Per questo la democrazia è quello che ci meritiamo. E la classe politica che ne consegue, come un Cameron cui esplode tra le mani una sparata elettorale fatta per pescare i voti altrui, essa stessa è quella che ci meritiamo.

ps. puntualizzato ciò, i referendum andrebbero aboliti.

Quello che non mi convince di Salvini

Il problema di Matteo Salvini non è, a mio avviso, il presunto razzismo (si le spara grosse ma non più del suo predecessore Bossi che al governo c’è stato, ma di leggi razziali non se ne sono viste). Quello che non mi convince e mi lascia parecchio perplesso è il suo programma economico. Trovandosi a Philadelphia per incontrare Donald Trump, ha ricordato che lì esiste la flat Tax al 20 % esaltando il sistema americano e ricordando che il suo programma la prevede addirittura al 15. Ma poi aggiunge che non gli piace il fatto che in America non ci sia l’assistenza sanitaria gratuita ricordando che lui crede nello stato sociale. Già, bravo che crede nello stato sociale, peccato che non capisca (o finga di non capire) che se metti le tasse al 15% ciao stato sociale! e allo stesso modo, se metti un forte stato sociale ciao flat tax!
Chissà se riuscirà a diventare premier come pronostica Donald Trump, forse ce la farà, ma se riuscirà a mettere la flat tax al 15 %, mantenere lo stato sociale attuale e abolire la legge Fornero (altra grande promessa) io perderò 15 chili mangiando dolci tutto il giorno senza fare la minima attività fisica, sicuro….

Parricidio

Pare che uno dei due killer del tragico e orripilante caso di Roma ora sostenga che in realtà desiderasse uccidere il padre e che ha sfogato la sua rabbia sul povero Varani. Può essere, capita spesso che chi desidera un parricidio finisce per sfogarsi su un povero malcapitato; pure Meloni e Salvini, desiderando uccidere il padre del Centrodestra Berlusconi, hanno finito per prendersela con un povero malcapitato di nome Bertolaso…

Galeotto fu il capodanno

Come tutti quelli che l’avevano detto, devo sostenere di non aver piacere di dire che l’avevo detto, ma in realtà mi piace un sacco.
Finalmente si sono incontrate, e io l’avevo detto. In una fredda notte di capodanno, a Colonia, forse in altri posti, ma è successo.
Correvano i primi anni 2000, l’intellighenzia nostrana si premurava a gettare acqua sul fuoco delle polemiche per le posizioni di Berlusconi (“siamo una civiltà superiore“) e ancor più della Fallaci (un po’ di ogni): “non esistono culture superiori alle altre” sintetizzò l’allora presidente della commissione Europea Prodi. Era l’Occidente frastornato che si guardava dentro, che si torceva tra le anime revisioniste di Derrida e quelle assolutiste di Benedetto XVI, che ammetteva le peggiori colpe senza riconoscersi alcun pregio, nel terribile e strisciante senso di colpa dell’Olocausto, il prodotto più ingombrante di secoli di cultura “superiore”.
Epperò io pensavo a: sapiens e neandhertal, mesopotamici e egizi, greci e assiri, liguri e etruschi, romani e longobardi, maya e spagnoli, medioevo e rinascimento, illuminismo e schiavismo, yankee e pellirossa, alleati e forze dell’Asse, democrazia e totalitarismo, Pippo e Pluto, belghe e pale ale, bagni italiani contro resto del mondo.
Mi pareva evidente, insomma, che le culture fossero il prodotto degli uomini, dei loro pensieri, delle loro interazioni, la sintesi dei percorsi di generazioni e territori, e che come tutte le opere dell’uomo fossero comparabili tra loro senza che per questo ci si dovesse sentire razzisti, e che se alle nostre latitudini non praticassimo l’infibulazione, questo dovesse essere motivo di vanto, non soltanto una varianza folkloristica priva di peso specifico.
Ovviamente, chi si sperticava a mistificare le differenze tra culture non poteva non battersi ugualmente per la condizione femminile, che ancora oggi a ragione trova argomenti per combattere anche nella nostra civiltà, visto che, Colonia o non Colonia, gli abusi sulle donne sono tutt’altro che un pericolo remoto nelle nostre case (soltanto che qui, nota folkloristica, è reato).
“Prima o poi”, pensavo, “queste contraddizioni si incontreranno”.