I primi 100 giorni di 100 di questi giorni.

Sarò breve in un confuso tentativo di coerenza.
Abbattere la burocrazia, il buon proposito di ogni campagna elettorale italiana dai tempi dello Stato Sabaudo.
Lunedì sera ho partecipato ad una interessante tavola rotonda senza la tavola (che fosse già un punto di partenza?) con l’obiettivo di proporre soluzioni che affranchino le imprese dalla morsa della burocrazia pubblica. Tra le proposte, uno sportello superunico, un responsabile unico per ogni procedura, un tutor di consulenza alle imprese, un percorso motivazionale per impiegati pubblici, la semplificazione del linguaggio normativo. Tutto molto bello, come diceva Pizzul per chiudere la cronaca di un’azione pregevole finita senza il gol.
Il sospetto che mi è venuto rincasando è che la sintesi di un’ora scarsa di idee brillanti non sia un compendio, ma una banalizzazione in buona fede dei problemi e delle soluzioni. Da qui, il sospetto ancora più forte che sia proprio la banalizzazione dei problemi, la rapidità con la quale si trovino soluzioni chiare e splendenti, a fregarci. La voglia del tutto e subito, una politica che si basi sull’ovvio e quando si scontra con il meno ovvio di tutte le prassi burocratiche, si squagli in una sterile indignazione.
Che il problema sia quindi di metodo, e quindi di cultura, ovvero della conoscenza delle cose che permetta di affrontarle. Semplificare con lo spirito, la tenacia, la mente critica e tecnica del burocrate più indefesso, non con lo spirito semplice di noi poveri mortali che parliamo come mangiamo e poi quando dobbiamo esprimerci in pubblico finiamo per usare parole complicate come “compendio” facendo discorsi un po’ ombrosi e involuti come questo.

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